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giovedì 18 aprile 2013

Blog in standby: troppa vita reale ha bussato alla mia porta


Vi presento Rock
...Ovviamente ho aperto.
Il militante che mi allontana più frequentemente dal computer, appena il lavoro me lo consente, è il simpatico tipino qua sopra. Mica male, no? ;-)

Al prossimo post. Quando? Chissà.

xoxo

F.

mercoledì 5 settembre 2012

Di cosa parliamo quando parliamo di lavoro?



Personalmente, io parlo di mal di schiena.
E tensione.
E soddisfazioni. Impegno. E poi... arrabbiature. Tante!

E quel silenzio sottile quando hai una gratificazione. Il sorriso accennato che ti fa pensare: “Ok, ma allora va tutto bene”. L’impeto di gioia bloccato dalla paura che tutto svanisca.
Perché è stato così difficile farsi leggere. Apprezzare. Pubblicare.

Poi le lodi. I soldi. Il mese che salta un pagamento, due.
...
E il mese che arrivano tutti insieme. E allora sei ricca. E più serena.

Il lavoro è diventato l’amico più stretto dopo la laurea.
Il pensiero fisso.
Il pensiero ansiogeno.
L’orgoglio.

Quel qualcosa da costruire piano piano. Ma senza tralasciare i propri spazi.
E allora l’incastro ben riuscito è la soddisfazione più grande.

Di cosa parliamo quando parliamo di lavoro?
Ecco, noi donne parliamo di incastri.
Dove il lavoro fatto bene è diventare plastiche.

venerdì 12 agosto 2011

delusione d'amore VS scrittura



Ma io una volta lo vorrei chiedere proprio a tutte le persone che mi capitano a tiro: come fate a lavorare, mangiare, respirare, fare tutte quelle cose che fanno parte della nostra quotidianità quando il cuore PESA PESA PESA per amore?

Non so quali risposte potrei trovare, ma forse qualcosa che possa modificare la mia faccia attonita, con un grande punto interrogativo stampato in fronte, quando si parla di amore e sofferenza.

Insomma, è ovvio, a me è capitato, altrimenti non sarei qui a scriverne.

Uscivo dolorante (più o meno come tutti) da una storia e dopo 6 mesi, una mattina qualunque davanti al computer con msn aperto,  il mio ex mi informa che sta per diventare papà.
Da tre mesi sa che sta per diventare papà.

mercoledì 10 agosto 2011

basta poco. basta rallentare


Attenzione! Sto dicendo la più grande banalità di tutte. O forse no.

Che basta rallentare per godere di più della vita.
Per far espandere i pensieri.

E, nel mio caso:

- per ricominciare a leggere Seneca (lettura interrotta più o meno a metà liceo... ma perché?)
- organizzare pranzetti a Trastevere in un'affascinante Roma deserta
- riprogrammare la mia vita, il mio lavoro, il mio guardaroba e poi... lasciare tutto (quasi) come prima ma con il sorriso in faccia
- pensare, pensare, pensare... e non pensare più che a volte è meglio non pensare.

Insomma, capito?

Basta poco, basta così poco... per capire quanto un inverno di doveri possa e debba lasciare spazio ad una dolce e delicata primavera.

mercoledì 29 giugno 2011

Puoi farlo ovunque, anche sotto l'ombrellone




Ma che avete capito? Parlo del mio lavoro. Che no, non si può fare sotto l'ombrellone. E neanche in vacanza, ne parlo qui. Ma non tutti lo sanno. Molti si ostinano a considerarti libera come l'aria e quindi...

Già.

Ma la bella notizia è che adesso sono cresciuta.

E non me la prendo più.

More or less.

Me ne rendo conto quando, dopo due giorni di mare, saluto le amiche che rimangono ancora qualche giorno a rosolarsi al sole (arg!! Che invidia!) e loro mi pregano di rimanere...

"Vorrei, ma devo lavorare", dico.

"Davvero!", aggiungo.

"MA TI METTI QUI SOTTO L'OMBRELLONE, TANTO CON IL TUO LAVORO LO PUOI FARE...".

E rieccoci. La bistrattata vita della freelance.

Un lavoro dove la concentrazione è tutto anche se si parla di bikini o depilazione... io posso farlo tranquillamente sotto l'ombrellone!!! Ma certo...

Mi chiedo solo:

Se poi durante un'intervista con un direttore di una multinazionale si sente lo splash dei tuffi... che dico? Mi è caduto il cellulare in una vaschetta con l'acqua che tengo qui sulla scrivania?

E... perché mia dovrei tenere una vaschetta con l'acqua? Per rinfrescare le dita dopo una lunga digitazione sulla tastiera? Mah!

Se durante la suddetta intervista un bambino mi tira un gavettone (al mare capita)... che faccio? Mi tengo per me tutti i santi del paradiso che stavo per far scendere (be', un modo alternativo per evitare di imprecare...)

E se, così proprio perché non capita mai, venissi interrotta ogni 2 secondi dalle chiacchiere da ombrellone (tipo: mi passi la crema solare? Fra, quando ti vieni a fare un tuffo? L'hai visto quello che è passato?)?

Ma poi basta con tutti questi SE.

Ora che sono soddisfatta. Sicura. Più definita.

...

La risposta è: NOOOOOOO!!! Non posso lavorare sotto l'ombrellone, CAPITO???? :-)


lunedì 21 marzo 2011

Invidia


In-vi-dia.

Provate a pronunciare questa parola lentamente. Sillaba per sillaba. Sentite come esce fuori.
È il respiro ansimante di un toro nell'arena. È il fumo condensato della prima sigaretta del mattino.
Pronunciarla semplicemente, a volte, è una liberazione.
Nel mio lavoro di invidia ce n'è molta. E si sente. Te la trovi puntata addosso in una conversazione tra colleghi. Ti punge la schiena leggendo delle righe che ami. Ma che non sono tue.

Ti consola sapere che se è scritta sul vocabolario è umana. Ma in fin dei conti non rallegrarti troppo, perché trattarla è come pettinare una chioma indomabile: cosa dura, lavoro di pazienza e di fino.
Io ho trovato la mia soluzione e credo sia utile condividerla. Si racchiude in una parola che è ammirazione. Tradurre l'invidia in ammirazione non è automatico e neanche facile. Ma necessario e utile per vivere e crescere.
Per portare l'acqua al proprio mulino anche quando ci si sente indefinite e stanche. Quando il confronto diventa sfiancante perché non sai piú chi sei e dove vai. Sai solo chi non sei. E vorresti essere.

Ma poi.
Ma poi...

C'é la musica. Quella solo tua. Quella che vibra ed esce forte dalla tua anima. Quella che ti fa entrare in contatto con il mondo e con il divino.

E allora l'invidia è un percorso, un fiume che porta verso il mare.
È buona, è vita. E, per assurdo, è anche utile.

mercoledì 16 marzo 2011

Yes, I've been there


Si, sto leggendo Mangia Prega Ama.
Si, anche nelle letture sono clamorosamente in ritardo (si vede dalle polverose pile di libri accantonate ai piedi del letto).
Ma chissenefrega? Mi piace questo ritmo slow nel tempo libero, regalo dei miei trent'anni.

Si, I've been there, spiega la protagonista di MPA. È questa la frase che si dice in inglese per consolare una persona che soffre. Non ti preoccupare, io lì ci sono già stato. E da lì se ne può uscire. Anche bene, arricchiti e fortificati.

Ecco, questa frase mi piace. Me la vorrei ripetere come un mantra nei momenti ansiogeni (lavorativi e non) in cui ti senti perso e solo e sbagliato. E regalarla a chiunque ne abbia bisogno.

Yes, I've been there.